Dopo tanto aver parlato dei miei carissimi professori universitari penso davvero sia arrivato il tempo per parlare d’altro. Leggendo i miei ultimi post forse qualcuno di voi si sarà annoiato, qualcuno forse si sarà divertito, stupito, o addirittura indignato. Ma penso comunque di avere fatto la cosa giusta: ho esercitato il mio sacrosanto diritto ad esprimere il disgusto, la disapprovazione. Ho manifestato il mio diritto ad esprimere l’indignazione. Ho detto in principio a questo articolo che non avrei parlato di università, e così cercherò adesso di mantenere questo impegno. Oggi voglio parlare della mia terra, oggi voglio parlare della mia Sicilia.
Mi sono laureato due mesi fa, e da due mesi lavoro tra Milano e Verona per Accenture Technologies Solutions. La mia sede di assunzione è Milano mentre Verona è la mia sede di trasferta. Per andare da Milano a Verona impiego un’ora circa in Eurostar. A Milano mi muovo per mezzo di un’ottima rete metropolitana, a Verona prendo gli autobus della ATV. Quando arrivo a Linate col mio volo proveniente da Catania è facile arrivare a casa: prendo il 73 che mi porta a S. Babila, quindi la metropolitana, e in un paio di fermate sono a Lambrate, nella casa di due miei carissimi amici che mi hanno fatto il regalo di potermi ospitare in questi miei primi tempi da lavoratore emigrante.
In queste due città così lontane dalla mia terra ho la fortuna di trovarmi davvero bene con un lavoro che mi piace, e non posso dire di aver trovato finora particolari difficoltà. Sono un lavoratore emigrante. Questa definizione per me significa tanto. Mi riempie della soddisfazione enorme che segue dal mio essere lavoratore, ma racchiude in se anche un po’ di amarezza. Non parlo di nostalgia, ma di amarezza, amarezza per la mia amatissima terra. Faccio quello che mi piace, mi trovo bene, eppure sono dovuto emigrare, e come me tantissimi altri giovani, tantissimi altri neolaureati e non. Perché ?Provate ad immaginare: come sarebbero andate le cose se io fossi stato milanese e fossi dovuto emigrare per lavorare a Catania ? E se la mia sede di trasferta fosse stata quindi Ragusa ?
Immaginati quindi di essere lavoratori emigranti a Catania; ovviamente non avete una macchina che sia la vostra e dovete necessariamente spostarvi con i mezzi pubblici. Mettiamo il caso che abbiate la vostra sede di lavoro a Piazza Stesicoro e che voi abitiate in una casa dall’affitto accessibile dalle parti di via Galermo. Quale autobus potete prendere ? Il 733 è quello che fa al caso vostro. Bene. Vi svegliate di buon mattino e alle 7 siete davanti alla vostra fermata: dovete essere in ufficio alle 8,00. Ma si pone quindi il quesito: quando passerà l’autobus ? Alle 7,15 ? Alle 7,20 ? Alle 7,30 ? Mai ? E soprattutto: quando vi lascerà a lavoro ? Nelle città che diversamente da Catania sono già stata raggiunte dalla civiltà, è facile predire il momento in cui passerà l’autobus: ogni fermata ha una semplice tabella degli orari che viene severamente rispettata. Questo non accade a Catania, e probabilmente non è necessario che approfondisca l’argomento, perché chiunque abbia preso almeno una volta l’autobus nella mia città sa benissimo quale disservizio metta a disposizione la municipalizzata AMT. Avete quindi un grosso problema: il vostro capo vi vuole in ufficio alle 8,00 , ma voi non potete assolutamente immaginare il momento in cui passerà l’autobus ed essere quindi in ufficio: ne segue che non potete fare alcun affidamento sui servizi pubblici per recarvi nella vostra sede di lavoro.
Adesso il problema che vi pongo è un altro: dovete andare a Ragusa nella vostra sede di trasferta. Andate in stazione e vi informate sui treni disponibili, e scoprite una simpatica sorpresa: tutti i treni hanno la coincidenza a Gela per proseguire verso Ragusa ed impiegano mediamente 4 ore e mezza ! 4 ore e mezza per tornare a Catania ! Mettiamo quindi il caso che sia Venerdì sera, e che abbiate staccato da lavoro alle 21,00 . Se tutto va bene, siete di ritorno a Catania all’ 1,30.
Ok, vi siete scoraggiati: niente treno. Decidete di prendere la macchina e di proseguire in autostrada. Ma quale autostrada ?! Ragusa non ha nessuna autostrada da cui è raggiunta ! Vi restano un infinità di strade provinciale e la famigerata Orientale Sicula, famosa per l’altissimo numero di morti e incidenti stradali di cui si è resa protagonista da quando è stata creata.
Adesso è più chiaro capire perché sono dovuto emigrare ? Credete che Catania e che la Sicilia in genere sia un buon posto dove poter lavorare ? Assolutamente no. E lo sanno anche gli industriale e gli imprenditori che potrebbero crearvi lavoro. Ma le infrastrutture basilari non ci sono: nessuna ferrovia decente, nessun sistema stradale decente, nessun servizio pubblico decente; chi sarebbe tanto incosciente da mandare i propri dipendenti così allo sbaraglio ? Qualcuno di voi probabilmente pensa: “ma il problema non è soltanto nelle infrastrutture ! C’è anche la mafia !”. E’ vero. E’ così infatti. I problemi principali della mia amatissima terra sono sostanzialmente due: pessima amministrazione pubblica in qualsiasi sfera questa sia esercitata e mafia. Ma per adesso non parlerò di mafia: preferisco affrontare un problema alla volta.
Ma chi è la vittima allora di tutto questo sistema ? I siciliani ovviamente, e la Sicilia mia amatissima. E provate a immaginare adesso: chi potrebbe cambiare le cose ? I siciliani ovviamente.
Io davvero penso che il popolo siciliano potrà cambiare la terra in cui vive facendola diventare un posto migliore da come è adesso se troverà in se la dignità e l’orgoglio di rialzare la testa e manifestare la propria indignazione verso le cose che non funzionano o che funzionano male.
Io davvero penso che ogni siciliano dovrebbe andare dai politici che lo rappresentano in comune, alla provincia, alla regione, in parlamento, e chieder a loro indignati: “dove sono le ferrovie ? Dove sono gli Eurostar e i treni veloci ? Dove sono le autostrade ?”. I siciliani possono cambiare le cose, ed io davvero penso che i siciliani potrebbero cominciare a farlo se soltanto cominciassero ad esprimere un po’ della loro indignazione verso le cose che necessariamente devono essere cambiate.
Nel mio piccolo anch’io ho espresso un po’ della mia indignazione: ho espresso un po’ della mia indignazione verso un sistema universitario troppo spesso gestito come un feudo privato da parte di qualche patetico barone.
E mi piacerebbe tantissimo non restare da solo a far questo.
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